Cachi

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Cachi, via Italia (11-2015)

Il cachi (il modo di chiamarlo al singolare, “caco”, a rigor di grammatica sarebbe scorretto) è l’ultimo frutto a essere raccolto prima dell’inverno, dopo che l’albero ha perso tutte le foglie.
Quelle palle arancioni spiccano sui rami spogli come tanti soli nel cielo. A pensarci proprio questo sono: succo di sole concentrato.
Insomma delle batterie, ciò che sono tutti i vegetali, da un punto di vista energetico. L’enorme quantità di energia riversata dal Sole sulla superficie terrestre (un niente virgola niente dell’energia che gironzola chissà perché per il cosmo), non ci servirebbe a nulla senza l’attività di trasformazione e immagazzinamento svolta dalle piante. Superman si ricaricava con il sole, ma vive nei fumetti. Noi dobbiamo mangiare. E tutto quello che mangiamo, impacchettalo e pubblicizzalo come ti pare, viene dalle piante e ancora prima dal Sole.
A questo giochetto che avviene sulla superficie delle foglioline, la fotosintesi, non dobbiamo solo l’esistenza e la sopravvivenza, ma anche l’energia che nei secoli ci ha permesso di dimenticare la nostra essenza animale e di vivere in una sorprendente dimensione tecnologica. Sorprendente sì, ma pur sempre insignificante, per perfezione e scopo, in paragone a quanto fanno da milioni di anni i nostri amici alberi.

Il cachi è anche l’albero della pace. Dopo l’esplosione atomica di Nagasaki chissà come sopravvisse un albero di questa specie. Ovviamente era malconcio per le ustioni riportate.  Masayuki Ebinuma prese a cuore le sorti dell’albero e lo curò fino a farlo fruttificare nuovamente. Allevò diverse nuove generazioni discendenti dalla pianta madre e insieme all’artista Tatsuo Miyajima mise in piedi il Kaki tree project, con l’obiettivo di piantare i nuovi alberi in giro per il mondo come testimoni di pace.
La provincia di Brescia è uno dei territori che ha risposto con più entusiasmo a questa iniziativa, anche grazie all’impegno costante del Tavolo della Pace della Franciacorta. Uno di questi testimoni di pace è in viaggio dal Giappone proprio verso Rodengo Saiano. Arriverà in febbraio e prima della primavera si cercherà di dargli una dimora degna del nobile messaggio che porta.

Gli alberi di cachi non sono utilizzati nei parchi pubblici, per via degli abbondanti frutti che, se non raccolti, pasticciano da paura. Un’eccezione cresce in via Italia, accanto a un susino e a un mandorlo, probabile testimonianza del fatto che quel terreno, prima di divenire edificabile e produrre soldi, produceva cibo:

Un conoscente che di territorio e di alberi ne capisce, una volta mi raccontò che alcuni cachi crescevano nel parco del frantoio. Furono abbattuti durante i lavori di ristrutturazione, ma questo brav’uomo e sua moglie raccolsero alcuni semi e ne fecero delle piante che poi hanno donato all’Ortoparco, dove piano piano stanno crescendo:

Chiome di cachi nei giardini privati si vedono in molti casi dalla strada:

Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida
Ordine: Ebenales
Famiglia: Ebenaceae
Genere: Diospyros
Specie: Diospyros kaki

 

2 thoughts on “Cachi

    1. Fantastico. Sarebbe interessante conoscerne la storia. Ti andrebbe di pubblicarne una foto?

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